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Secondo Astratto, 1965-68




D
opo l’esperienza delle “Piastre” (1956), l’esigenza dell’astratto si fa più forte. Sopravviverà per qualche anno quel figurativo … 'fatiscente', l’ultimo, che, dopo il “Monumento ai Caduti” di Montesolaro del 1960, dopo la “Via Crucis” di Verano Brianza e quella della chiesa del cimitero di Monteolimpino, si concluderà felicemente con il portale della Chiesa Arcipretale di Chiasso (Svizzera).


"Pneuma"

“Architrave”, “Doppio gancio”, “Flatus”, “Pneuma”, “Cucchiaio”, “Leviatan”, etc….: sono opere veramente libere dalla figurazione, dove ogni scultura è un’idea, ha un suo valore semantico, particolare e preciso, e un suo titolo. Corre l’obbligo di ribadire che tutte queste opere sono realizzate 'a taglio diretto' dall’autore, direttamente nel marmo, senza abbozzi preparatori. Marmi lucidati, a mano, tutti esemplari unici.
Verranno esposte alla Galleria Pianella di Cantù nel settembre del 1968.

"Donna come Dea"
"Flatus"
"Senza titolo"


"Leviathan"  
 

"Cucchiaio"
 

Dalla crisi, sofferta, del figurativo, sorge un Riva nuovo. Il tema primo ridiventa il volume, il suo rapporto con lo spazio. L’artista ha ritrovata la capacità di comporre, il rispetto della qualità dei materiali con le esigenze dell’invenzione, la struttura con l’articolazione libera delle masse, il volume con la superficie e anche il colore, e ancora il vuoto con il pieno, l’intrusione nell’ambiente con la difesa dell’integrità del nucleo plastico, entro la sfida che è nella scultura moderna.
E’ in Riva una scommessa vincente. Ed è l’avvio di una produttività fervida che da allora si svolge ininterrottamente sino ad oggi”. (Luciano Caramel in “Eli Riva”, Electa, Catalogo della mostra antologica organizzata dal Comune di Como nel 1991 per i 70 anni dell’artista)

"Bivolume"

 

Sono gli anni dal 1965 al ’68, culminanti nella mostra citata alla Galleria Pianella di Cantù. Per la quale scrive Franco Catania nella presentazione: “Questo gruppo di marmi è il frutto degli ultimi due anni d’attività di Eli Riva e rappresenta un capitolo singolarmente affascinante – certamente uno dei piú alti – della sua esemplare fatica: e ciò non solo per l’inedito messaggio di bellezza e di poesia che queste opere contengono, ma anche perché esse valgono ad affermare, nel tempo della plastica e della fiamma ossidrica, l’incomparabile valore di quella nobile materia che è il marmo.
Ci si trova qui di fronte a dei “momenti spirituali” che soltanto un osservatore superficiale potrebbe scambiare per ricerche edonistiche o per saggi di bravura o per semplici giochi di abilità, perché queste forme liberissime originate da emozioni che non conoscono confini si rivelano nutrite di una ricca sostanza umana e religiosa (è questo l’elemento che lega i marmi qui esposti con tutta la precedente produzione di Riva). Sembra che l’artista trasformi il blocco inerte di marmo e gli dia vita senza aggredirlo, ma quasi accarezzandolo, liberandolo da ogni inutile peso, rendendo trasparenti e spiritualizzando le forme con un sentimento d’amore. Quel che rimane è materia e luce.
La posizione di Eli Riva non trova riscontro né nell’astrattismo né nel cubismo e certi riferimenti che vengono spontanei per queste opere, ad esempio con le forme meditate ma rigide di uno Jacobsen, si rivelano – ad un’attenta disamina – fallaci, come dimostrano anche gli originalissimi disegni dei quali la mostra presenta una larga scelta (appunti nati insieme ai marmi come “verifiche di emozioni”, ricchi di umori e di fantasia, straordinari per tecnica, novità di concezione e invenzione di linguaggio).
Dinnanzi a marmi di così suggestiva purezza e trasparenza che ricordano la statuaria greca ogni altra parola appare superflua. E forse ha ragione Riva quando dice che per queste sculture ogni commento è inutile. Non è un atteggiamento dettato da presunzione il suo, ma dalla coscienza che oggi il discorso di un artista centrato su esiti di così stimolante impegno deve nascere essenzialmente dalla lettura che delle opere fa il riguardante - e dalla partecipazione del riguardante stesso – ed imporsi senza l’ausilio (o l’impaccio?) di più o meno inevitabilmente svianti considerazioni critiche”.

“Senza titolo”, 1967, marmo di saltrio. Anticipa un filone che si preciserà a fine anni ’70, quello della serie delle “Fionde”.  


Architrave”, 1967, marmo bianco lucido (m. 2 x 0,25 x 0,25). E’ ascendente e c’è un fulcro di forze nella prima battuta, uno snodo, una presa in carica delle forze in salita, e poi su, fino ad un altro piccolo snodo, e una ripresa fin che si ha fiato, poi un cappuccio a sghembo, come a dire che ci si puó fermare, come un comignolo, un riparo… Non ricordo se è nata orizzontale, dato il titolo. Mi sembrava sfoggio di bravura, quel rifinire il marmo come fosse burro, le fessure chiaroscurali, la passione…'ionica' (la parola)… Un percorso di energia ascendente, come di un vettore…. Nel marmo Riva pensa, gioca… e parla…

"Architrave"  


“Flatus”, 1967, marmo nero di saltrio, che con gli anni si è fatto smunto e trasparente. Manca apparentemente quel senso architettonico e strutturale cui Riva ci ha abituato, il rigore logico, ma vale per l’estrema libertà, la leggerezza, come petali di fiori…

 

“Doppio gancio”

Da un articolo di Liliana Macera (in Eco dell'Arte, gennaio1980): “Quello di Eli Riva è un lungo iter che si svolge chiaro e che raccoglie l'emergere di ogni sperimentazione, talvolta anticipando, talvolta convivendo coi fenomeni e le vicissitudini dell'arte contemporanea dal dopoguerra ad oggi, e sembra avere perennamente cose da dire. Partito figurativo nel 1950, ma di un figurativo essenziale, carico di tensioni e di promesse, il suo iter, come quello dei più significativi artisti contemporanei, non poteva che volgersi all'astratto, passando, nel lungo giro degli anni, attraverso le tappe fondamentali di una evoluzione, senza confondersi con facili schemi o soluzioni conformistiche. (.....) Le sue opere hanno inoltre una fluidità incredibile, al limite del virtuosismo. Lo scultore sembra pensare nel marmo. (...)
'Doppio Gancio', scultura realizzata a taglio diretto nel marmo (1965), porta in sé i dati liberatori dalla monumentalità. Tema poi ulteriormente precisato dallo scultore.(...)
Dove arriverà Eli Riva ? Sembra che egli abbia trovato la chiave di un nascere perpetuo delle immagini; ogni pezzo è autonomo e al contempo intimamente legato al precedente.
L'opera vive in se stessa, senza riferimenti al naturale, ed è un puro prodotto dell'Io.”

 
  "Senza titolo"  
"Pistillo e Geometria"  
 
 

“Maternità"

marmo chiaro con intarsio in piombo
 
 

"Dislocazione"
marmo rosa:
perpetuo oscilare di volumi traversi, con spinte e controspinte......
Vedi Galleria

"Senza titolo" marmo nero
   
"Senza titolo" marmo nero "Inizio" marmo bianco
"Composizione meccanica" rosso di Verona  
 
"Senza titolo"
marmo bianco venato