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Monumento a Papa Innocenzo


L'antimonumentalismo di un monumento


Ben otto artisti hanno fatto pervenire i loro bozzetti. E’ stato scelto dal nostro Consiglio, che si è valso della consulenza di esperti, il noto artista comasco Eli Riva, ma nessuno degli altri ha demeritato”: dalla presentazione del concorso, scritta dal Presidente Piercesare Bordoli, nell’opuscolo “Una Statua di Innocenzo XI nella sua città” edito dalla Famiglia Comasca nel 1993.

Foto Nicola Vicini

Dall’intervista di Rosaria Marchesi pubblicata sulla rivista “Como” (nell’estate 1992) dal titolo “La lenta gestazione di una IDEA GENIALE”: “Eli Riva parla del suo bozzetto e di come, dal primo statico bozzetto su 'podio', sia arrivato a una edicola in movimento aggrappata a spigolo e a cerniera al palazzo, dopo avere sperimentato vari passaggi.
Come è nata l’idea di realizzare una statua del Pontefice da appendere al muro di San Pietro in Atrio?”
Riva: Da subito mi son posto il problema, non da un punto di vista plastico, ma piuttosto da quello dell’inserimento urbanistico nel contesto pre-esistente della via Odescalchi. Qui si è liberato un piccolo slargo, che io non ho considerato adatto alla costruzione di un monumento di tipo storico. Oltretutto non volevo occupare uno spazio appena ricavato, a fatica, dall'Amministrazione cittadina e regalato alla città.
La mia immaginazione si è immediatamente avvicinata al Podio Pliniano sulla facciata del Duomo di Como.

Poi, invece di una realizzazione semplice che prevedeva l’utilizzo di questo

mi si è chiarita la necessità di una proposta diversa con una collocazione angolare.
Ho precisato così la dimesione architettonica, e ho sviscerato il problema della forma”.
“Lei non ha mai pensato a una statua a terra?”
Riva: “No, mai. Non solo. Nel caso questa fosse stata la condizione per la realizzazione avrei rinunciato all’incarico”.

Foto Nicola Vicini

Queste parole trovano riscontro in quelle di Alberto Longatti sul già citato opuscolo della Famiglia Comasca: “Fin dal bozzetto Eli Riva ha rivelato di avere tenuto conto maggiormente, rispetto agli altri partecipanti, del luogo in cui l’opera avrebbe dovuto essere posta. Un luogo di ridotte dimensioni, chiuso fra la strada e i muri delle case, arretrato in un breve spiazzo. E nello spazio così circoscritto, occorreva, più che volere un’occupazione, chiedere un’ospitalità.

Riva non ha voluto un ingombro. Come sempre ha avviato una vibrazione nello spazio. E ne è uscito uno spazio animato, una presenza viva...
L’idea originaria è apparsa perfezionabile fin dal suo proporsi, con l’iniziale inserimento della statua nella cornice 'pliniana', e quindi la sua progressiva riduzione ad una struttura asciutta, a un telaio di attualissima sobrietà, virtualmente mosso e squadernato  lateralmente.
E’ felice anche l’intuizione di aggrapparsi al muro lasciando libero l’impiantito e di suggerire una visione dal basso all’alto che dà più forza e significato all’immagine di un  Papa benedicente”.


Infine, un’osservazione da parte di chi scrive, che lo conosceva bene nella sua infinita e intelligente astuzia.
Poiché il palazzo Odescalchi, su cui si dovrà aggrappare, sporge sulla stretta via, rispetto alla  piazzuola, il monumento si vedrà così da lontano; nel centro della piazzuola, su di un podio, si sarebbe visto solo in loco.
Ciò a vantaggio non già del proprio protagonismo (è notoria  la modestia innata di Eli Riva - non c’è nemmeno la firma sul suo Papa) ma a vantaggio della comunità tutta, del passante, del forestiero.
Foto Nicola Vicini

Riportiamo le parole del compianto Furio Ricci dal “Settimanale della Diocesi” del 27 febbraio 1993.
“La grande cera è quasi ultimata e prossima per la fusione; altri faranno una esauriente critica di quest’opera, nella sua possanza naturalistica da una parte, ma profondamente nuova dall’altra.
Ma come e dove verrà collocata la statua?......
Sembra quasi un omaggio di uno scultore moderno alla splendida statuaria della nostra cattedrale. È un altro podio, il terzo per la città, dopo i due che racchiudono le statue dei Plinii sul Duomo, e un omaggio all’opera dei tanti scultori che qui hanno lavorato intessendo una miriade di personaggi e di santi”.
Va sottolineato, riguardo alle parole di Furio Ricci riferite al valore intrinseco della scultura, il valore dell’insieme, e cioè l’armonizzazione raggiunta fra la scultura, l’effige del Papa plasticamente e felicemente risolta, e la struttura che la contiene, quel “telaio di attualissima sobrietà”; armonizzazione che ne fa un’opera intelligente, moderna e bella.


Quanto alla scultura vera e propria, in particolare le mani (cavallo di battaglia nell’arte figurativa di Eli Riva, assieme ai piedi ...) va rimarcato come la simbologia dei piccoli volumi che chiudono ad intreccio le astratte “Arfalle” del 1975, una sorta di archetipo del rito e della preghiera, trova riscontro nello stile figurativo di queste mani espressive, “mani che si chiudono a cestello con le dita allungate lasciando non il vuoto ma il fiato”.

  Foto Nicola Vicini

Così scrive Rossano Nistri in “Attraverso la scultura del nostro secolo: Eli Riva” (corso di aggiornamento 1999):
“ … Superfici appena modulate, e volumi costruiti con la concentrazione luminosa e spaziale che scandisce l’intrecciarsi delle dita di una mano con quelle dell’altra (preghiera o resistenza?), ritrova, a distanza di oltre 20 anni, una sua essenziale formulazione figurativa nel gesto delle mani che assorbe buona parte della dinamica nell’effige bronzea del Papa Odescalchi, realizzata nel 1994 e collocata a Como nella via omonima.”


  Foto Nicola Vicini

L
a scultura è stata fatta in “cera persa”, e cioè evitando il passaggio in gesso da parte del formatore. Detto tra parentesi, ciò corrisponde alle strategie di tipo economico di Eli Riva, artista sostanzialmente povero, il quale riusciva anche a inventarsi delle tecniche, data la sua perizia artigianale e la sua grande manualità.
Qui mette a frutto, infatti, anche la sua abilità nello sbalzo e cesello: attorno ad un’impalcatura di ferro, la cosiddetta armatura, Riva avvolge lastre di cera, lasciando una grossa apertura sulla schiena.

Da dietro, da dentro, modella queste lastre determinando volumi e forme (il cosiddetto sbalzo), per definire, disegnare, esternamente l’immagine e i particolari (cosiddetto cesello).
(Si ricordi che Riva era nato cesellatore nella bottega artigiana).
Così i piedi furono fatti da dentro, da dietro, e quanti amici andarono a vedere questo Papa in costruzione dalla finestra sulla schiena...




Per finire qualche parola:
di Bordoli: “Il Papa era diventato per lui un amico, un compagno di lavoro, e quando fu trasferita la struttura in cera alla fonderia, abbiamo letto nei suoi occhi lo smarrimento. Il suo amico lo aveva lasciato”;

di Longatti: “Per mesi la statua di Papa Odescalchi è cresciuta nel laboratorio di Eli Riva.
Come un Alter Ego, una proiezione di se stesso”;

e dello stesso Eli Riva, parole molto semplici: “Ho fatto un balconcino, dal quale il Papa si affaccia alla mattina in pantofole, per salutare e benedire”.
  Foto Nicola Vicini


La soluzione a cerniera sarà adottata da Riva in altre occasioni:
1) nella collocazione entro cornice di marmo (gigante), con messa in sicurezza architettonica, del, da lui presunto, dipinto di Leonardo nella nuova Chiesa del Santo Spirito a Lipomo (Como).
(Nella foto particolare del modellino in cera.)


2) nel monumento a ricordo di Francesco Casati (promotore e fondatore della Università dell'Insubria ), aggrappato alla colonna nell’atrio d’ingresso della Università di via Valleggio (Como).