ENG

percorso di navigazione

Monumento ai Caduti di Montesolaro.1961

  L’anti-monumentalismo tipico del pensiero di Eli Riva in quest'opera si esprime attraverso una scelta di contenuti: l’antiretorica, e cioè il soldato stanco che si aggrappa alla fontana. Dirà Alberto Longatti: “una figura umana si attorce in un silenzioso spasimo di dolore rivolgendosi al cielo”.

 

  Similmente Benigni, nella apertura delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, in televisione, dapprima entrato perentoriamente e fragorosamente a cavallo, alla fine ne esce silenzioso e stanco; proprio il soldato stanco.


  Quanto alla fattura, siamo negli anni sessanta, quando il figurativo di Riva volge al termine, con la dissoluzione della superficie, vincendo la compattezza della materia con ampi squarci.



  Un altro monumento ai caduti, rimasto allo stato di progetto, era stato pensato per il concorso di Sanremo  “Monumento ai caduti di tutte le guerre”. Modalità astratta? Modalità figurativa?
  Siamo nel 1951, quando Riva comincia ad aggredire la compattezza delle sue opere del 1950, passaggio necessario, anche se al momento Riva fu giudicato emulo di Henri Moore. Ma Riva rispondeva: “Io i buchi li faccio al posto giusto, non in mezzo al petto”.



  Riportiamo ancora dall’articolo che Alberto Longatti scrisse per “Canturium” (periodico di arte e ambiente canturino, n.19 gennaio 2009), edito in occasione della mostra dedicata postuma allo scultore a Carimate, comune che comprende appunto Montesolaro: “Per anni e anni sono uscite tante prove di convinta fedeltà alla lezione dei maestri rinascimentali, anni di continui trasferimenti, per dimostrare di esserne un degno erede, dall’area figurativa all’astrazione, fino ai volumi compatti dove l’energia è domata ed appare, come un’onda, sulle dolci modellazioni della superficie. Oppure si vince la compattezza della materia per farla apparire duttile, fluida, come nel monumento di bronzo ai Caduti accanto alla chiesa di Montesolaro, in cui una figura umana si attorce in un silenzioso spasimo di dolore rivolgendosi al cielo. Una scultura, quella di Montesolaro, realizzata negli anni Sessanta, che al soggetto da interpretare imprime la carica di spiritualità che caratterizza l’arte dell’autore.
Eli Riva infatti era soprattutto un mistico, nel senso più genuino del termine: un credente nell’assoluto, che cercava di uscire dalla relatività del quotidiano per dare almeno un cenno su ciò che lo trascende. Ma senza mai perdere il contatto con l’uomo, con la sua natura debitrice della creatività di ogni forma di vita. Gli oggetti di sasso, di marmo, di legno, di bronzo usciti dalle sue mani avevano sempre, dentro, questo principio vitale, umano e divino insieme, perché la sua fede lo convinceva che non si tratta di due unità, ma di un insieme inscindibile” (…)  “Non fantasmi, non oggetti inanimati ma creature vive” (…) “Con una qualità che le contraddistingue e le denuncia figlie di un unico padre, una carica dinamica contenuta ma sempre sul punto di prorompere” (…) “Tutte dotate di una forza misteriosa” (…) “Levitanti, protese verso un infinito che non appare irraggiungibile”.