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Gli anni di Sant'Agata


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li anni Sessanta pongono un nuovo problema ai Vescovi e ai Cardinali riuniti al Concilio Vaticano II, la costruzione di nuove chiese, data la grande espansione urbana, e le loro modalità anche per quanto riguarda l’arredo liturgico.
Ne risulta una revisione dei criteri tradizionali dell’arte liturgica: una migliore posizione del celebrante rispetto all’assemblea per creare la partecipazione attiva dei fedeli, la messa in crisi dell’ambone o pulpito, una importanza particolare data al Tabernacolo.
Si passa da un’estensione longitudinale ad una orizzontale: non più le tradizionali navate, ma ampie aule.

A dare contributo professionale vengono chiamati architetti e anche artisti, pittori e scultori.



SANT’AGATA (1964 / 1967-69)


Nella nuova Chiesa di Sant’Agata (Como) i dettami posti dal Concilio vengono felicemente attuati grazie alla collaborazione, già nella fase di progetto, fra il parroco, Don Giovanni Valassina (poi Monsignore), l’architetto Lucio Saibene, lo scultore Eli Riva e l’ingegnere Gino Morganti.
Chi scrive ricorda un viaggio in Europa (su una piccola "500" di quei tempi), compiuto da Don Giovanni Valassina (ancora in abito talare! disse Riva) e dallo scultore nei primi anni '60, allo scopo di verificare, ed eventualmente considerare per il loro progetto, le soluzioni formali delle nuove chiese post-conciliari.

La pianta dell’edificio di Sant'Agata viene concepita in larghezza. Due gli ingressi a livello del presbiterio, sul modello della Chiesa di San Fedele in Como, ma uno a rovescio rispetto all’altro. Il pavimento è leggermente inclinato e permette la visione dell’Altare da parte di tutta l’assemblea.

Introduciamo le parole dell'ingegner Clemente Tajana pubblicate sul bollettino parrocchiale (Natale 2012, "Campane di Sant'Agata"):
"La leggera discesa dei banchi verso l'Altare pone i fedeli nella condizione di essere attenti con maggiore intensità alla Messa. (...) Gli elementi principali del Presbiterio sono in marmo bianco di Carrara. I diversi piani del pavimento sono in pietra metamorfica: gneiss grigio a tessitura occhiatina, permettendo così ai capisaldi in marmo bianco di evidenziarsi.
Il percorso parte dal fonte battesimale rialzato di un gradino rispetto al piano dell'assemblea, con vasca d'acqua incassata a filo pavimento. Raggiunge l'ambone (in cui viene letta la Parola) posto su un secondo gradino, quindi arriva all'altare posto su un terzo gradino, terminando nel Tabernacolo scavato nella parete in modo da comunicare con la chiesa delle messe quotidiane, e caratterizzato da una fine doratura che riflette una luce misurata, una luce di vita.
Il percorso è in ascesa leggera, è quasi interiore ma è reale ed efficace."

Riva concepisce, anziché Altare e Pulpito, Mensa del Sacrificio e Mensa della Parola, e sono due grossi bianchi blocchi di marmo diagonalizzati, di forma uguale ma di dimensioni diverse: costituiscono i due poli della celebrazione eucaristica.

Le due Mense Mensa del Sacrificio

Il Tabernacolo, non posto direttamente dietro l’Altare secondo le modalità del Concilio, è a servizio delle due chiese (una dietro l’altra: l’aula grande per le celebrazioni e un’aula piccola - cappella - devozionale e feriale), inserito nel muro divisorio. Come si è detto posto lateralmente, attira su di sé la dovuta attenzione. Le porticine sono di bronzo dorato e producono effetti luministici.



Di marmo bianco è il fonte battesimale: un incavo di forma quadrata nella pavimentazione, e l’acqua sgorga idealmente da un volume emergente solcato da una profonda fessura, che richiama l’iconografia della sorgente



Di bronzo il rimanente arredo: il Cero Pasquale, i porta-lampade, il candelabro (purtroppo a suo tempo rubato).

 

 


L’acquasantiera è di pietra verde delle Alpi, scolpita e lucidata, come sempre, a mano.

 


LE VETRATE

"Il melograno dalla dura scorza ha al suo interno una moltitudine di semi, immagine adeguata a rappresentare la Chiesa con la sua moltitudine di fedeli” (Angela Bernaschina, “La nostra Chiesa”): il melograno presente nel tempio ebraico e nell’arte sacra cristiana. Due i soli colori utilizzati, il giallo e il nero, ma l’effetto è monocolore. “La luce irrompe nello spazio bianco, investe il marmo degli altari, trae bagliori dal Tabernacolo. Le vetrate del mattino illuminano la grande aula, mentre la dolce luce meridiana filtra dalle vetrate della cappella, luogo della sosta e del raccoglimento” (Angela Bernaschina, cit.)



Rimandandovi anche alla pagina "Arte Liturgica / Sant'Agata", concludiamo riprendendo ancora l'articolo dell'ingegner Tajana, con una riflessione che riguarda la parrocchia:
"Mi auguro infine che la nostra bella chiesa bianca possa essere arricchita dalla grande scultura della Passione", sempre di Eli Riva. "Tale presenza dimostrerebbe che l'arte sacra continua il suo percorso nella contemporaneità e non è morta, come alcuni critici d'arte vanno sostenendo."