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Scultura Seriale
"Case degli Angeli", anni '90



U
n concetto peculiare di queste opere è quello di "opera aperta", idea che l'autore ribadiva continuamente. Sottolineava sempre che le Case degli Angeli erano "senza base": "Non c'è un sopra e un sotto - diceva - se le giri ogni tuo movimento ti dà un'immagine nuova, e dimentichi la precedente". Ogni scultura genera dunque un numero inesauribile di immagini.

"Sa, io ormai non ho più nessun rapporto con la scultura. La frase non arriva subito, ma dopo una buona mezz’ora di conversazione, all’insegna dell’amarcord. E scivola nel discorso di soppiatto, pronunciata però con solennità, con il tono sibillino di una rivelazione.
Non incontravamo Eli Riva da tre anni.
E’ lui a mostrare con compiacimento il trofeo della sua vittoria nella lotta ingaggiata quasi trent’anni orsono e vinta da poco al prezzo di una inesausta, severa, ricerca formale. L’ultimo estremo frutto del suo percorso dalla figurazione all’astrazione, fino a rovesciare il tema stesso della scultura, e a capovolgerne le premesse ontologiche. E’ tutto racchiuso nelle sue 'Case degli Angeli', aeree intelaiature di quadrati compenetrati in un movimento di superiore armonia.
Le case degli Angeli – prosegue Riva – rappresentano la fine ideale della mia ricerca scultorea. Con esse ho raggiunto il mio scopo, quello di ‘defisicizzare’ la scultura. Con esse ho portato il vuoto nella materia”. (Claudia Rancati, “Eli Riva e le case degli Angeli”, intervista pubblicata nella rivista “Como”, dicembre 2002)
 
 
 

In effetti queste opere sembrano solo disegnate, anche se sono volumetricamente dentro lo spazio. E Claudia Rancati sembra averlo pensato, quando, proseguendo nel suo articolo dice : "Oggi, posato lo scalpello, abbandonati il legno e la pietra, l’ottuagenario scultore ha scelto come nuovi strumenti di lavoro il pennino, l’inchiostro di china e la carta. Segno che la ricerca non è esaurita (….) dalla scultura al disegno, dall’astrazione di nuovo alla figurazione".
Sono le “Foglie”, l’ultimo - veramente ultimo - capitolo della inesauribile creatività di Eli Riva, le foglie dell’acero accartocciate dall’autunno. "La foglia secca dell’acero nano – diceva l’autore - prima di diventare polvere ci saluta trasformandosi in fiore" .

 


   

Dall’articolo di Alberto Longatti “Un artista francescano in cerca dell’essenziale” scritto in occasione della morte di Eli Riva e pubblicato sul quotidiano comasco “La Provincia” il 13 febbraio 2007, riprendiamo quanto ci è utile per dare un’interpretazione spirituale e simbolica delle “Case degli Angeli”.
“Le Case degli Angeli, non più espressione di ‘qualcosa’, ma segnali di un ‘altrove’, (…) strutture minimali dove l’aria, il vuoto, contano più della consistenza del sasso o del metallo. ‘Telai’ che non inquadrano lo spazio, lasciando vibrare quanto contengono in minime fibrillazioni. Lo spazio così frantumato veniva concepito dall’artista come una piccola porzione dell’infinito. E non unicamente nel significato metaforico.


Ad una signora che gli chiese perché non c’era nulla dentro le incastellature di quadrati e di rettangoli sospesi incastrati gli uni negli altri, rispose con insofferenza: ‘Come!...non vede!...non sente che dentro lì battono le ali degli Angeli ?! Quelle non sono cornici, sono porte. Aperte dove andremo tutti un giorno’.
Le porte spalancate – continua Longatti – su un ignoto che ci attende per palesarsi e che, nell’attesa, scompagina i poveri progetti, le misere previsioni con le quali ci illudiamo di pianificare il futuro.”

Chiamati SITUS i primi esemplari, ancora robusti, pesanti - questo ne è il prototipo - via via si alleggeriscono, diventano aerei, come dice Longatti, dove il vuoto conta più della materia. Il SITUS, la casa, diventa la casa degli Angeli.


Detto tutto questo, la semplicità francescana, il senso mistico e spirituale di Eli Riva, bisognerà ancora trovare il senso simbolico, profondo, il senso trasformato in forma, il pensiero trasformato in forma di queste opere, per il quale non ci sentiamo all’altezza, e volentieri cederemmo la penna ad un esperto.

Nel citato catalogo Electa del 1991 Luigi Cavadini e Luciano Caramel formulano due concetti che, sebbene espressi in relazione alle “Fionde”, ci sembrano a maggior ragione pertinenti per quanto riguarda le “Case degli Angeli”: “La forma scolpita si fa semplice contorno, contenitore dello spazio” (Cavadini), “dialettica fra spazio esterno e spazio interno all’opera” (Caramel).
E ribadiamo il concetto espresso all'inizio, ovvero l'idea della scultura “senza base”, fine ultimo della ricerca stilistica di Eli Riva, che in queste opere genera, per ogni scultura, un numero davvero inesauribile di immagini.


C'è un salto dalle “Fionde”, ultime opere scolpite, ‘fatte di materia’, alle “Case degli Angeli”, fatte di vuoto e di cera.
Momento intermedio fra di esse i “Cancelli”, che sono già rinuncia a scolpire, con quei legni assemblati, non scolpiti ma squadrati da macchine.











Concludiamo questo racconto cronologico-stilistico del percorso creativo di Eli Riva ( svolto nelle pagine che vanno da "Anni giovanili" a "Scultura seriale". A partire dalla pagina "Bivolume" ne svolgeremo invece uno tematico ) tornando sul fondamentale principio del "senza base".
"Eliminare la base" è stato un vero assunto di Eli Riva, fin dall'origine.
E viene da notare che Riva risolse il problema-base, che Constantin Brancusi non risolse. Per lo scultore rumeno il problema era un incubo, un vero complesso se una delle ultime opere, "Oiseau dans l'espace" (1927), è praticamente una rinuncia, e quasi per disperazione (è la lettura che diamo noi): un verticale assoluto su una base che è un tavolino barocco, anchesì dorato.....
Si può quasi dire che Eli Riva erediti il problema della base da Brancusi e lo porti a definizione, a conclusione in maniera drastica, a soluzione rivoluzionaria: cioè la annulla. E il termine del suo percorso, queste "Case degli Angeli", sono sculture spaziali, telai dove entra lo spazio vivo, con la eliminazione completa della base.
Brancusi nasce nel 1876, Eli Riva nel 1921. Ce n'è d'avanzo. Quarantacinque anni sono il doppio dei venti che costituiscono generalmente il cambio di generazione, e conseguentemente il cambio di visione dell'arte.