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Scultura Seriale
"Fionde", anni '80




E
li Riva si esprimeva in modo particolare, per metafore; un dire, il suo, che aveva bisogno di interpretazione, di traduzione. Troviamo tra i suoi scritti, a proposito delle “Fionde”, poche espressioni - quasi un campionario - che vagano un po’ enigmaticamente fra estetica, filosofia, moralità, concezione del mondo e altre dimensioni del pensiero: neanche frasi, ma parole, brevi locuzioni, pensieri spezzati. “Esperienza di confine”, “Scoperte ritmiche”, “Attrazione dello spazio”, “Vuoti coordinati in linee chiuse”, “Infinite fantasie in coincidenza con l’infinito realistico”, “Sempre uguali e sempre diverse, come le dune spinte dal vento nel deserto”, “Ordine del mondo”, “Ordine essenzialmente estetico”.


I
n risposta a qualcuno che lo aveva interrogato sul titolo: “Il nome Fionde? Dire tensione – la fionda è ció che si tende – è dire poco. Dire spazio, va bene, perché qui è veramente il gesto che è spaziale, non il graffio, che rimane in superficie!”  
Il gesto, non il graffio, l’immagine, non la trovata, erano i suoi ‘leitmotiv’.


S
crive Luigi Cavadini nel 1991: “Si giunge, infine, nelle opere in legno degli anni ‘80 (“Fionde”), a quello che chiamerei ‘lo scandaglio dello spazio’, in una ricerca che non si ferma all’apparenza (pur nella perfezione delle finiture) ma che, in una novità di proposta che non ha eguali nell’arte del nostro secolo, affonda nell’impalpabilità dell’aria la forza inventiva e lo scalpello dell’artista. Il gesto scultoreo che ‘indaga’ lo spazio rende palpabile il vuoto e ‘vuota’ la materia che è agente, che si fa gesto.” (Saggio per il citato Catalogo Electa della retrospettiva del 1991)

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E così Luciano Caramel nel suo “La scultura come esperienza della sintesi” (nel medesimo catalogo Electa, pag. 21): “L’investigazione di Riva si svolge a 360°. Non trascura le possibilità delle iterazioni modulari, della asimmetria, dello scatto che la serialità consequenziale contraddice: fuori degli schemi, quindi, anche di quelli dell’avanguardia. (…) Ultimo, radicale approdo di siffatte esperienze sono le ‘Fionde’, cui Riva si dedica ormai da oltre un decennio. La loro icastica efficacia, pur nell’elementarità dei mezzi, e la ricchezza di implicazioni spaziali fu subito notata, al loro primo pubblico apparire – nel 1981, nella Biblioteca Comunale di Uggiate Trevano, presso Como – da Luigi Cavadini che, indicando la ‘trasformazione’ nuova dell’artista, rilevava il protagonismo definitivo del ‘rapporto tra opere e spazio’, ‘sempre più stretto al punto che non è più possibile dire se è l’opera a vivere nello spazio o lo spazio a prendere vita nell’opera’. Con la potenzialità trattenuta della fionda, che come s’è detto a questi lavori dà il titolo, le strutture curvilinee, a ‘molla’, sono difatti inscindibili dal loro essere nello spazio, tanto che rifiutano persino le basi d’appoggio, che finirebbero col creare attorno a esse un’aura isolante che le trasformerebbe in qualcos’altro, le soffocherebbe. E lo spazio, con l’intromissione di questi gesti solidificati, di questi dinamismi in compressione diviene campo di tensioni, acquisendo la flagrante mobilità dell’evento, che la matericità ‘povera’ del legno lasciato allo stato naturale – ora preferito, con le sue nodosità e venature – rende ancora più vivo e nel contempo essenzializza, attestandolo su di un livello di originarietà, al di qua di faconde, dispersive, connotazioni. Di qui anche una francescana rinuncia al superfluo, spiritualmente motivata…..”

Scrive Rossano Nistri: “Nella composizione modulare (quella iniziata con le “Arfalle”), si scorge una scommessa architettonica: costruire l’asimmetria dei volumi e inseguire il rinnovo costante dell’immagine a partire dalla iterazione del modulo, senza cadere nella monotonia seriale in cui si sono arenate tanta scultura e tanta architettura contemporanea. Il legno prende a questo punto il sopravvento su ogni altro materiale”.

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E infine, riportiamo anche le parole di Alberto Longatti, scritte in ricordo dell’artista all’indomani della scomparsa (quotidiano “La Provincia”, Como, 13 febbraio 2007): “Poi sono arrivati gli esiti estremi delle opere che chiamerei ‘della rinuncia’, alle quali aveva dato nomi irreali, anche se della realtà mantenevano un’eco lontana. Ed ecco nascere, in cicli successivi, l’eleganza e la leggerezza delle ‘Arfalle’, la dinamicità trattenuta dei ‘Rotori’, la tensione delle ‘Fionde’ in cui gli scatti, la proiezione nell’intorno, sono una potenzialità da spendere, da liberare con l’immaginazione”.


Ma veniamo alla fattura di queste opere, le “Fionde” in legno, di grandi dimensioni, che occupano tutti gli anni ’80 e che saranno esposte come protagoniste nella mostra antologica del 1991 in San Pietro in Atrio a Como.
Arditezze tecniche di ogni sorta Riva ne aveva compiute nel marmo, lo andiamo ripetendo in ogni occasione. Ma qui, nel legno, si offrono ulteriori e ardite possibilità tecniche.
Lo sconvolgimento dei piani sembra fondante.





Vere acrobazie quei cambiamenti improvvisi di direzione, come se il legno avesse un’anima e una volontà di andare di qua e di là,



o come un uomo che accavalli le gambe all’improvviso, o un serpente che cammini.


Ma l’acrobata, come ci piace chiamarlo, si spinge oltre, fino a soluzioni a rischio di rottura, specie nelle piccole opere come la “Fionda Enne”

Fare scultura al limite del soffio d’aria. Virtuosismo assoluto (per chi può permetterselo!), virtuosismo di un reduce dal cesello.
Tensione, poiché la fionda è ciò che si tende. Dalla potenzialità trattenuta della fionda, da questo dinamismo in compressione, sprigiona tutta l’energia di cui Riva è capace.




E queste le parole del critico romano Guerrino Mattei, apparse nell'articolo "Modernamente Arcaico" pubblicato in "Ore12" il 16 dicembre 1990:
"L'atelier-bottega  dello scultore Eli Riva a Camerlata (Como) è un punto di riferimento per  quanti vogliono dialogare con le forme, “discutere” con la pietra, il legno, il bronzo e con quanto di più geniale questo artista comacino ha saputo riattraversare per dare alla materia identità, dinamica, armonia e pensiero.  Vi sono dentro, in mostra permanente, testimonianze di cinquant’anni di lavoro, opere significative per la ricerca compiuta e per la conduzione di una operosità in continua evoluzione.
In queste sale dall’apparente disordine “vivono”  Rotori, Arfalle, Fionde, qualche ritratto e tante “esperienze” di passaggio che denotano una creatività senza interruzioni, mai mediata da interferenze di corrente.
Sono opere difficili al primo impatto, nelle quali la linea di demarcazione fra forma e contenuto non sempre è decifrabile verso connaturazioni astratte, prive di ogni casualità. L’opera indica un concetto, non una forma, quindi ogni opera può essere astratta. La Pietà di Michelangelo  lo è perché  esprime sentimento e non soltanto forma, pur essendo la più bella definizione di una figura.  Ogni generalizzazione in questo campo diviene pericolosa, anche se la tendenza all’astrazione è ogni volta, nel prodotto di un artista, il risultato finale di una stilizzazione volontaria, di una schematizzazione e di una contrazione della forma  realistica ridotta a segno. In ogni caso la presenza della realtà sussiste lungo tutto lo sviluppo della creazione artistica, che la trasforma ma non la nega.
Entro questi concetti opera l’architetto Riva misurandosi con materiali che domina senza l’aiuto di nessuno, evitando, quando la scultura lo permette, l’uso di attrezzature meccaniche.  “Scapezza”  il marmo con mazzetta e scalpello, “martella” la creta con le mani lasciando l’impronta del pollice nel modellato a certificare le sculture meglio di qualsiasi firma.  Ma il legno dalle perenni possibilità di movimento è a capitargli tra le mani. Spesso sono alberi enormi che “accarezza” con asce, seghe, scalpelli sino a liberare quanto vi ha intuitivamente intravisto, evitando quando può di ricorrere alla “botte” con i rischi di spaccatura che il massello comporta.
Nell’opera tutto è allogato, tutto viene da dentro, lo scultore non fa altro che liberare la forma dalla materia. La scultura non è ciò che rimane ma quanto è stato tolto. Io opero su dei contenitori e ciò che ne traggo deriva dal mio pensiero,  da ciò che emotivamente sento”. Oltre queste scarne parole, oltre quanto Riva propone bisogna ricercare le radici della sua “primitività”.  L’artista non nega le iniziali parentele con Brancusi, con esiti diversi, nelle Fionde addirittura opposti.  Ma è chiaro che il suo linguaggio, modernamente arcaico, ha un codice personale messo a punto da anni e anni di confronto e scontro con un plasticismo che avanza il concetto di estetica, creando ritmi e dinamicità che frantumano ogni stilema tradizionale.
Eli Riva, nonostante abbia ottenuto importanti riconoscimenti per opere e commissioni di rilievo internazionale, ama parlare poco di sé. A luci spente le sue sculture però (di questo siamo certi) “parlano” ancora, ma non tradiscono l’amore e l’arte del maestro."


























Mostra "Arte a cielo aperto",
Como, maggio 1999


In conclusione, una lettera pubblicata dal quotidiano "La Provincia" il 5 giugno 1991, inviata da Corti Gabriella, una visitatrice della mostra retrospettiva “Eli Riva” promossa e sponsorizzata dal Comune di Como in occasione dei 70 anni dell’artista. La lettera portava il titolo "Bellezza e arte lariane":
"Io non sono comasca (...) Scopro bellezze neppure mai immaginate: sbircio al di là di ogni cancello, di ogni cortile e trovo il bello. E' così che partendo da piazza San Fedele ho scoperto San Pietro in Atrio, lo scultore Eli Riva e la sua arte. D'arte moderna non conosco che il poco studiato molto superficialmente a scuola. Le opere di Eli Riva mi hanno aperto gli occhi. Ho scoperto che mi stavo innamorando di qualcosa che non capivo ancora, ma che sentivo di dovermi spiegare. Vorrei che tutti coloro che come me non si intendono d'arte, provassero a penetrare la bellezza e il mistero col cuore prima che con l'intelletto. E' così che ho fatto e continuerò a fare io.
Eli Riva parte dalla conoscenza della materia, della sua struttura, della sua anima. Prima la conosce e poi la ama. Così col cuore le infonde la vita. Io, per iniziare a comprendere le sue opere devo fare un percorso a ritroso, ho dovuto lasciarmi guidare dal cuore per arrivare all'essenza della materia.
Vi invito tutti a scoprire l'Arte con la A maiuscola.
Grazie ancora allo scultore che unisce alla grandezza della sua arte una disponibilità e una comprensione dell'animo umano che costringono chiunque lo avvicini a sentirsi non solo suo ammiratore, ma suo amico."